mercoledì 11 aprile 2007

Deficit nella visione: Semir Zeki "La visione dall'interno"


La soggettività nei processi visivi e di apprendimento è risultato essere l’argomento principale attorno al quale si è sviluppata la nostra ricerca. Proprio in quanto ci è risultato difficile approcciarci ad un mondo del quale siamo del tutto partecipi, senza incappare in luoghi comuni ed ingenue mistificazioni. L’approccio neurologico fornitoci dal testo di Zeki, ha rappresentato per intero, e fino in fondo, la risposta esaustiva ed allo stesso tempo sempre aperta, a domande che è risultato difficile non porci. Seguendo le indicazioni del testo riproproniamo nelle pagine seguenti, il processo scientifico di studio e sperimentazione che ha portato alla moderna concezione del vedere, rimanendo del tutto fedeli al neurologo che ci ha guidati ad una nuova forma di considerare il vedere.


Il cervello visivo
è un organo in grado di fornire, in una frazione di secondo, un’immagine visiva in cui tutte le caratteristiche di una scena – forma, colore, movimento, profondità e molte altre ancora – sono colte in una precisa
registrazione spazio-temporale. Si suppone che il cervello tratti le immagini del mondo visibile, in sub-aree diverse, localizzate in zone topograficamente distinte e che la visione sia quindi organizzata secondo un sistema modulare parallelo.

Il più importante fatto nuovo che ci ha indotto a ripensare le funzioni del cervello visivo, e ci ha costretto a riconoscere che la visione è un processo attivo cioè che vedere e capire sono due aspetti difficilmente separabili dello stesso processo, è stata la scoperta dell’esistenza nel cervello di numerose
aree visive, e non di una soltanto come si supponeva in precedenza. Il principale collegamento tra retina e cervello è la cosiddetta via ottica. Essa trasporta segnali a una parte relativamente ampia dell’emisfero cerebrale, situata nella zona posteriore del cervello e nota comunemente come corteccia visiva primaria – V1.

Localizzazione delle aree visive nella corteccia cerebrale umana.

Le cellule del sistema nervoso reagiscono a uno stimolo aumentando o diminuendo la velocità di scarica della carica elettrica accumulata. La specializzazione funzionale del cervello visivo è dunque una conseguenza del fatto che le singole cellule che lo costituiscono presentano un’alta selettività al tipo di segnale o stimolo visivo a cui reagiscono. Una cellula, per esempio, può essere selettiva al colore e reagire a rosso, ma non agli altri colori né al bianco. Sono anche indifferenti alla forma, cioè reagiscono allo stimolo del colore giusto, ossia funzionale, qualunque sia la forma: una barra verticale o orizzontale, un rettangolo, un cerchio, un quadrato.

Quando una piccola porzione del campo visivo della cellula rappresentata in figura, cosi detto campo recettivo, viene stimulata tramite luci di diverse lunghezze d’onda e con luce bianca, essa aumenta la sua scarica solo in risposta alla luce rossa. Quindi è selettiva rispetto al rosso.

Cellula della corteccia visiva che reagisce in modo selettivo quando il suo campo recettivo viene stimulato da una barra che si muove da sinistra a destra e non a reazioni al movimento nella direzione opposta. Essa quindi è direzionalmente selettiva.

Un semplice esperimento dimostra specializzazione funzionale presente nel cervello umano. Mentre si osserva u na scena a colori viene attivata l’area V4; mentre si osserva una scena in movimento viene attivata l’area V5; ambedue gli stimoli attivano V1. Le aree attivate sono rappresentate in bianco, rosso e giallo in una sezione orrizzontale del cervello.

Basandosi su questi elementi la teoria di specializzazione funzionale suppone che attributi diversi della scena visiva vengano gestiti in zone del cervello visivo topograficamente distinte; che esistano sistemi di elaborazione diversi per i diversi attributi della scena stessa. Questo si verifica per mezzo di sistemi che individuano variazioni del flusso sanguigno in zone localizzate del cervello.

Gli attribuiti della scena visiva sono convogliati in una registrazione sincronizzata, ma non vengono percepiti insieme: il colore lo è prima della forma, questa prima del movimento, e l’intervallo tra la percezione del colore e quella del movimento è di circa 60-80 millisecondi. Questo suggerisce che nella visione sussiste una gerarchia temporale, sovrapposta ai sistemi di elaborazione parallela distribuiti nello spazio, ma non solo, la percezione è un evento conscio: noi percepiamo ciò di cui abbiamo coscienza mentre non percepiamo ciò di cui siamo inconsapevoli. Non sono le differenti attività dei diversi sistemi percettivi/elaborativi che devono essere unificate per darci una percezione cosciente della scena, ma è piuttosto la microcoscienza generata dall’attività dei diversi sistemi percettivi/elaborativi che deve essere collegata per darci una percezione unitaria.


La realtà dei fatti anatomici ci costringe a tener conto di due singolari aspetti dell’organizzazione del cervello visivo, dai quali derivano numerose conseguenze. Primo, le aree visive specializzate non sono tutte connesse con un’area sovrana in grado di “interpretare” o comprendere i risultati del loro processo di elaborazione, ma ogni area ha invece connessioni multiple con le altre. Poi c’è il fatto fondamentale che nessuna area della corteccia cerebrale, visiva o altro, è soltanto recettiva, ma riceve, ed allo stesso tempo trasmette, segnali, raccogliendo informazioni provenienti da zone piuttosto ampie del campo visivo, per i propri scopi, relativamente agli attributi visivi per i quali è specializzata.

Un paziente acromatopsico, diventato insensibile ai colori in seguito a una lesione nel centro del colore del cervello visivo (area A4), non vede né comprende il colore (descrivono il mondo in termini di ombre grigio scuro); un paziente acinetopsico, che ha perso la capacità di vedere oggetti in movimento in seguito a una lesione dell’area corticale della percezione del movimento (area A5), non vede né comprende il movimento; un paziente prosopagnosico, incapace di riconoscere le fisionomie dopo una lesione nella parte della corteccia specializzata nella percezione dei volti, non vede né distingue un volto particolare e talora nessun volto, anche se sa di star guardando un viso. Eppure i pazienti di ognuna di queste categorie sono in qualche modo capaci di vedere e capire qualcosa degli attributi visivi che non possono più identificare. Un paziente colpito da una lesione generalizzata di V1, che costituisce la “via regia” al cervello visivo, è affetto di solito da cecità totale.


Disegno della cattedrale di San Paolo a Londra eseguito da un paziente agnosico
(disabilità di interpretare sensazioni e di riconoscere oggetti)
che non era in grado di riconoscere ciò che aveva disegnato.



Disegni di un paziente divenuto acromatopsico in seguito ad un danno cerebrale.
Vi sono rappresentati una banana, un pomodoro, un melone e delle foglie.



Ciascun sistema di elaborazione specializzato presente nel cervello visivo consiste di più stazioni, e in ognuna di queste i segnali vengono elaborati a un certo livello di complessità.
In termini neurobiologici non esiste un unico senso estetico, ma ne esistono molti, ciascuno connesso all’attività di un particolare sistema di elaborazione visiva, caratterizzato da specializzazione funzionale. Così l’inefficienza di un dato sistema, comporta l’incapacità di apprezzare l’effetto estetico prodotto dall’attribuito per il cui trattamento di quel sistema è specializzato, ma gli effetti analoghi
prodotti dagli altri attribuiti si conservano intatti (sempre che i relativi sistemi di elaborazione rimangano integri e funzionino in modo normale). Un paziente con una lesione in V4 non può vedere né comprendere il colore, che per lui non esiste, ma la sua perdita estetica si limita all’ambito dell’esperienza cromatica. Un paziente con una lesione in V5 non può né vedere né comprendere il movimento, ma può ricavare piacere dal cromatismo dei quadri. Questi pazienti possiedono capacità residue che consentono loro di vedere e capire alcune proprietà dello stimolo, dato che questi sono una funzione di livelli anteriori nei rispettivi sistemi specifici di elaborazione. Non sappiamo se l’ attività a questi livelli anteriori produca, o contribuisca a produrre, effetti estetici. La connessione tra la retina dell’occhio e la corteccia visiva primaria, area V1 , è determinata geneticamente. Questo collegamento tra un organo di senso periferico e una zona specifica del cervello è altamente organizzato, in quanto i punti adiacenti sulla retina sono connessi a punti adiacenti sulla corteccia, ricreando così su di essa una “mappa” della retina stessa. Quindi i meccanismi necessari alla visione sono in larghissima misura già predisposti sin dalla nascita, e determinati geneticamente. La corteccia visiva può invece registrare e conservare le impressioni visive solo in seguito ad un processo di apprendimento.


Il campo recettivo è quella parte della superficie corporea che, stimolata in m
odo appropriato, dà luogo alla reazione di una cellula cerebrale. Le cellule indicano le loro reazioni con un aumento o una diminuzione della frequenza di scarica elettrica in corso.
Se le risposte a queste cellule selettive diano origine anche l’esperienza estetica è una domanda alla quale i neurologi
non sono ancora in grado di rispondere.

Reazione di una cellula della corteccia visiva a luci di diverso colore. La cellula viene attivata solo dal rosso.


Reazione di una cellula della corteccia visiva a linee orientate in vario senso, che si muovono avanti e indietro nel campo recettivo. La cellula è chiaramente selettiva per le linee verticali.

Le cellule di ogni area del cervello visivo hanno campi ricettivi finiti di dimensioni diverse da un’area all’altra. Ma qualunque sia questa dimensione, la presenza di campi finiti significa che l’informazione nel mondo della visione viene elaborata essenzialmente in modo discreto. Questo crea un problema per quel che riguarda la comprensione di ciò che percepiamo visivamente e quindi anche per la comprensione del modo in cui percepiamo un’opera d’arte: come sa il cervello quali elementi deve riunire e quali no? Siamo ancora lontani dal comprendere come il cervello percepisce l’opera intera, e ancora di più da sapere come le attribuisce una qualche qualità estetica.

Organizzazione del cervello visivo e percezione. Le linee differenti eccitano gruppi differenti di cellule, il che ci lascia ancora con il problema di capire come il cervello ragruppi tutte quelle linee orientate e le attribuisca alla stessa opera.

Un’idea ingegnosa è basata sull’analisi delle reazioni elettroniche delle cellule condotta con sufficiente precisione: ne risulta che tali reazioni non vengono distribuite in modo uniforme durante il periodo di attività, ma sono raggruppate insieme e oscillano con frequenze precise, di solito nella banda di 40 Hz. Il fatto che due cellule stiano reagendo alla stessa linea o allo stesso oggetto è segnalato, secondo alcuni neurologi, dalla sincronizzazione delle loro oscillazioni.

Fisiologia della visione dei colori

Il colore è una proprietà del mondo esterno o è una costruzione del cervello? Il colore di una superficie è determinato unicamente dalla realtà fisica esterna. In questo contesto si suppone che il colore abbia un codice, il cui segreto è la lunghezza d’onda predominante nella luce riflessa complessivamente dall’oggetto.
Il cervello ha bisogno di conoscere proprietà permanenti, essenziali e costanti degli oggetti e delle superfici, in un mondo dove molte cose variano continuamente. Per fare ciò deve trascurare ogni cambiamento superfluo, che sarebbe un impedimento a questa acquisizione. Il fatto di avere un codice semplificherebbe enormemente il compito del cervello, ma esigerebbe anche un pesante pedaggio – il cervello sarebbe in balia di ogni cambiamento che modifichi il codice.
Esso, in sintesi, deve affrontare un procedimento che gli faccia trascurare i cambiamenti. Il colore è il risultato dell’operazione che il cervello esegue sull’informazione che riceve; esso è in realtà una proprietà del cervello, e no
n del mondo esterno, anche se dipende dalla realtà fisica del mondo. Il fenomeno di trascurare i mutamenti, e così mantenere i colori, viene chiamato costanza cromatica.

Nel cervello la registrazione della precisa composizione spettrale dalla luce che proviene da ogni piccola porzione del campo visivo, sembra sia realizzata dalle cellule selettive alla lunghezza d’onda dell’area A1.

L’attività cerebrale (in nero) di persone che osservano oggetti a colori.
I quadrati grigi rappresentano l’area V4, trovata tramite scene astratte a colori.



L’attività cerebrale (in nero) di persone che osservano oggetti con colori innaturali.
I quadrati grigi rappresentano l’area V4, trovata tramite scene astratte a colori.


La visione di scene naturali con colori normali, in cui si attivano non solo le stesse aree attivate dalla visione di scene a colori astratte ma anche altre, dimostra che esiste realmente una differenza neurologica tra la visione dei due tipi di scene, e quelle astratte in effetti sembrano coinvolgere precedenti aree visive senza attivarne altre che entrano in gioco soltanto quando guardiamo scene naturali. Questa scoperta svela una controversia centenaria sulla visione dei colori, cioè se la costanza cromatica sia dovuta a una elaborazione automatica seguita dal cervello o se siano in gioco fattori cognitivi superiori quali la memoria, il giudizio e l’apprendimento, che impongono a una superficie un colore diverso da quello che avrebbe in loro assenza.
Nonostante questi enigmi, risultati fisiologici e globali degli studi sulla formazione delle immagini, ci permettono di ipotizzare che ci siano tre stadi cerebrali coinvolti nella normale percezione del colore, con possibili suddivisioni in ciascuno di essi.

Il primo stadio riguarda la valutazione della composizione spettrale di ogni punto, che è la funzione di V1. il secondo consiste nell’attuare il rapporto e così costruire il colore, come anche rendere il cervello indipendente dai continui cambiamenti della composizione spettrale; questo processo è svolto dal complesso V4 e non dipende dalla natura effettiva dell’oggetto o della superficie. Lo stadio finale consiste nell’attribuire agli oggetti il colore e controllarne la “correttezza”; questa è una funzione di più aree, inclusa la corteccia temporale inferiore, l’ippocampo e la corteccia frontale.


Conclusione

Nell’ambito della neurologia e della scienza, interpretare l’esperienza estetica è oggi preso ancora parzialmente in considerazione, tenendo conto che sul cervello umano si conosce troppo poco sinora. Risulta anche vero che non si possono applicare a problematiche di estetica sperimentazioni concrete della neurologia. Semir Zeki esprime il proprio parere riguardo alle teorie estetiche; secondo il neurologo, esse verranno comprese in profondità solo quando si fonderanno esclusivamente a partire dal funzionamento del cervello, nessuna teoria estetica che non abbia una forte base biologica potrà essere completa e profonda.








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